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No Css: Come le Industrie Ripuliscono la Loro Immagine

Al diavolo le anime! – Come le industrie ripuliscono la loro immagine

Se il prezzo per far studiare i nostri figli è accettare che loro o noi possiamo morire di tumore, provocato dai veleni del polo industriale, lo paghiamo di buon grado…o forse no…

È degli scorsi giorni la notizia che le due più grosse aziende del polo industriale/tumorificio di Milazzo-Valle del Mela, hanno deciso di elargire qualche spiccio delle loro immense fortune per finanziare l’edilizia scolastica e alcune borse di studio per i ragazzi delle scuole secondarie (vedi qui e qui).

Queste azioni ritraggono perfettamente lo spirito della contemporaneità. Un mondo dove i soldi, versati dalle madri e dai padri attraverso le tasse, servono soltanto a finanziare guerre o a pagare il debito pubblico, generato nei decenni dalle classi politiche largamente incapaci e corrotte (testimoniato, tra l’altro, dall’incessante susseguirsi di scandali giudiziari). Quasi del tutto utilizzati per ingrossare le tasche dei potenti, di quei soldi ne rimane ben pochi per finanziare ciò che serve realmente ai comuni mortali. Così, il diritto allo studio rimane una bella frase scritta sulla nostra Costituzione, mentre le scuole crollano, letteralmente, sulle teste dei pargoli. Da ultimo, a subire i colpi di maglio dell’austerità è il sistema sanitario, pensato universalmente gratuito all’indomani degli orrori della seconda guerra mondiale, valore che accomunò la tradizione cristiana e quella socialista, sembra ormai irreparabilmente caduto in disgrazia.

Poiché la nostra terra è caratterizzata dalla finitezza delle risorse e il sistema vigente di regole legittima alcuni ad arraffarne la maggior parte, solo questi ultimi potranno, di fatto, sostenere le spese per il mantenimento dei servizi pubblici essenziali, facendone una merce da vendere e diventandone dunque i padroni.

D’altro canto, cosa rimane a noi gente comune? Facile: la libertà di consumare. Per indirizzare i nostri gusti e le nostre scelte, le aziende organizzano scientificamente campagne di marketing, bombardandoci di messaggi pubblicitari che assicurino i margini di profitto più alti possibile. Orbene le tendenze di mercato del momento richiedono che i prodotti siano realizzati rispettando l’ambiente o con una particolare attenzione agli aspetti etico-sociali. Così in un territorio pieno di lapidi scolpite dai signori dell’industria, accade che il grande capitale faccia a gara per mostrare carte bollate che certifichino l’assoluta salubrità dei suoi impianti oppure investa qualche briciola dei suoi denari per dimostrare a tutti quanto sia buono. Le forme sono le più varie: si possono finanziare borse di studio, dare i soldi ai comuni per pagare i comici, come a Milazzo con Nino Frassica (vedi qui), oppure costruire campi di calcio alla parrocchie, come quella di Olivarella diretta da Padre Mostaccio (vedi qui), ancora regalare una pensilina al Liceo Artistico di Milazzo (i cui studenti ciclicamente finiscono in ospedale colti da malori per le puzze venefiche provenienti da chissà quali comignoli – vedi qui), ma anche sconfinare nel campo del divino e sostenere le rappresentazioni sacre del venerdì Santo a San Filippo del Mela (vedi qui). E sono solo alcuni esempi.

Questa pratica, tutt’altro che sconosciuta e legata a quella del greenwashing, si chiama social washing. Letteralmente lavaggio sociale, tale neologismo descrive la pratica messa in atto da aziende, organizzazioni, multinazionali, ma anche partiti politici, per accattivarsi la fiducia dei consumatori, pubblicizzando le proprie pratiche etiche, di utilità sociale, green o ecosostenibili. Poco importa se poi si tratta solo di operazioni di facciata.

Così tutti dormiamo sonni più sereni..e loro sonni più dorati!

Quando l’operato dell’azienda diventa “giusto” grazie al social washing, le verità più scomode sulle reali conseguenze del prodotto o del servizio, legate ai rischi o alla nocività, spariscono. Attraverso il lavaggio sociale dei loro marchi, le grandi industrie realizzano un risultato ben più importante: il lavaggio delle nostre menti.

Il social washing rientra nel più generale insieme delle strategie di vendita. Infatti, se leggiamo i manuali di marketing aziendale, vedremo che negli assetti di management sono presi in considerazione:
– logiche d’impresa e scelte pubbliche
– convergenza tra strategie sociali delle imprese ed intervento nel settore pubblico.

La strategia sociale ha lo scopo di ottenere un consenso duraturo dalle varie categorie di interlocutori, cioè noi.

Un’azienda diventa socialmente responsabile quando le sue attività appaiono socialmente accettabili. Per beneficiare di una tale credibilità bisogna costruirla con strumenti specifici, ad esempio le certificazioni, i marchi qualità, le campagne di promozione sociale come il finanziamento delle scuole o di enti no profit.

All’imbrattamento dell’aria perpetrato per decine di anni dalle industrie si associa un ben più venefico imbrattamento delle coscienze, se non la loro più becera compravendita. A questo dobbiamo rispondere con una secca ribellione, rifiutando il pane avvelenato che la mani sporche di petrolio e spazzatura ci offrono. Cominciamo col bloccare il mega inceneritore per poi pretendere la bonifica del resto del polo industriale. #Fuoridaipolmoni.

NOINCENERITOREDELMELA
23 NOVEMBRE 2015

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